domenica 4 dicembre 2011

Una disgrazia chiamata TGUno



Il più seguito e – purtroppo – importante strumento di informazione nazionale, il TGUno, va in onda domenica sera esattamente mentre il governo annuncia, alle 20 e 15, e spiega una delle operazioni politiche, economiche, finanziarie e dunque socialmente più drammatiche e importanti degli ultimi 20 anni.

Giusta o sbagliata che sia, equa o iniqua, da essa dipenderanno la vita quotidiana di milioni di persone e il futuro della nazione intera.
E quella manica di imbecilli e di inetti che prendono stipendi da giornalisti e si fingono tali, interrompono e lasciano il collegamento per raccontarci di incidenti stradali, della Pausini e non so di che altro.
Qui non si tratta di ideologia, di simpatie politiche, di destra o sinistra, di comizi spacciati per editoriali, ma di squisita e lancinante incompetenza professionale.
Se vivessimo in una nazione seria, se la Rai, che è IL SERVIZIO PUBBLICO, non un’emittente o un mezzo commerciale che può fare tutte le sciocchezze che vuole, avesse una Presidenza e una Direzione Generale con ancora qualche briciolo di dignità e senso di responsabilità, dopo questo orrore giornalistico Minzolini e il suo gruppo di direzione dovrebbero essere cacciati via a pedate nel culo.

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venerdì 2 dicembre 2011

il diritto di vivere e morire

BLOG di Marco Travaglio
2 dicembre 2011

Tre giorni fa la morte “pianificata” di Lucio Magri in una clinica svizzera. Oggi sul nostro giornale si confrontano due punti di vista opposti. Quello di Marco Travaglio: “Il medico salva, non uccide”. E quello di Paolo Flores d’Arcais: “Liberi di vivere e morire”. Decidere della propria vita significa anche poter delegare la propria fine ad altre persone?

Ecco le opinioni dei due editorialisti.

Il medico salva, non uccide – di Marco Travaglio

Io non voglio parlare di Lucio Magri, che non ho conosciuto e non mi sognerei mai di giudicare: non so come mi comporterei se cadessi nella cupa depressione in cui l’avevano precipitato la vecchiaia, il fallimento politico e la morte della moglie. So soltanto che non organizzerei una festicciola fra i miei amici a casa mia, con tanto di domestica sudamericana che prepara il rinfresco per addolcire l’attesa della telefonata dalla clinica svizzera che annuncia la mia dipartita. Una scena che personalmente trovo più volgare e urtante di quella del pubblico che assiste alle esecuzioni nella camera della morte dei penitenziari. Ma qui mi fermo, perché vorrei spersonalizzare il gesto di Magri, quello che viene chiamato con orrenda ipocrisia “suicidio assistito” e invece va chiamato col suo vero nome: “Omicidio del consenziente”. Ne vorrei parlare perché è diventato un fatto pubblico e tutti ne discutono e ne scrivono. E molti tirano in ballo l’eutanasia, Monicelli o Eluana Englaro, che non c’entrano nulla perché Magri non era un malato terminale, né tantomeno in coma vegetativo irreversibile tenuto artificialmente in vita da una macchina: era fisicamente sano e integro, anche se depresso. Altri addirittura considerano il “suicidio assistito” un “diritto” da importare quanto prima in Italia per non costringere all’ “esilio” chi vuole farsi ammazzare da un medico perché non ha il coraggio di farlo da solo. Sulla vita e sulla morte, da credente, ho le mie convinzioni, ma me le tengo per me perché, da laico, non reputo giusto imporle per legge a chi ha una fede diversa o non ce l’ha. Dunque vorrei parlarne dai soli punti di vista che ci accomunano tutti: quello logico, quello giuridico, quello deontologico e quello pratico.

Dal punto di vista logico, non si scappa: chi sostiene il diritto al “suicidio assistito” afferma che ciascuno di noi è il solo padrone della sua vita. Ammettiamo pure che sia così: ma proprio per questo chi vuole sopprimere la “sua” vita deve farlo da solo; se ne incarica un altro, la vita non è più sua, ma di quell’altro. Dunque, se vuole farla finita, deve pensarci da sé.

Dal punto di vista giuridico c’è una barriera insormontabile: l’articolo 575 del Codice penale, che punisce con la reclusione da 21 anni all’ergastolo “chiunque cagiona la morte di un uomo”. Sono previste attenuanti, ma non eccezioni: nessuno può sopprimere la vita di un altro, punto. Se lo fa volontariamente, commette omicidio volontario. Anche se la vittima era consenziente, o l’ha pregato di farlo, o addirittura l’ha pagato per farlo. Non è che sia “trattato da criminale”: “È” uncriminale. Ed è giusto che sia così. Se si comincia a prevedere qualche eccezione, si sa dove si inizia e non si sa dove si finisce. Se si autorizza un medico a sopprimere la vita di un innocente, come si fa a non autorizzare il boia a giustiziare un folle serial killer che magari è già riuscito ad ammazzare pure qualche compagno di cella?

Dal punto di vista deontologico, altro muro invalicabile: il “giuramento di Ippocrate” che ogni medico, odontoiatra e persino veterinario deve prestare prima di iniziare la professione: “Giuro di… perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale , ogni mio atto professionale; di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno…; di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione”. Non occorre aggiungere altro. Come si può chiedere a un medico di togliere la vita al suo paziente, cioè di ribaltare di 180 gradi il suo dovere professionale di salvarla sempre e comunque? Sarebbe molto meno grave se chi vuole suicidarsi, ma non se la sente di farlo da solo, assoldasse un killer professionista per farsi sparare a distanza quando meno se l’aspetta: almeno il killer, per mestiere, ammazza la gente; il medico, per mestiere, deve salvarla. Se ti aiuta ad ammazzarti è un boia, non un medico.

Dal punto di vista pratico, gli impedimenti alla legalizzazione del “suicidio assistito” sono infiniti. Che si fa? Si va dal medico e gli si chiede un’iniezione letale perché si è stanchi di vivere? O si prevede un elenco di patologie che lo consentono? E quali sarebbero queste patologie? Quasi nessuna patologia, grazie ai progressi della scienza medica, è di per sé irreversibile. Nemmeno la depressione. Ma proprio una patologia passeggera può obnubilare il libero arbitrio della persona che, una volta guarita, non chiederebbe mai di essere “suicidata”. Qui di irreversibile c’è solo il “suicidio assistito”: ti impedisce di curarti e guarire, dunque di decidere consapevolmente, cioè liberamente, della tua vita. E se poi un medico o un infermiere senza scrupoli provvedono all’iniezione letale senza un’esplicita richiesta scritta, ma dicendo che il paziente, prima di cadere in stato momentaneo di incoscienza e dunque impossibilitato a scrivere, aveva espresso la richiesta oralmente? E se un parente ansioso di ereditare comunica al medico che l’infermo, prima di cadere in stato temporaneo di incoscienza, aveva chiesto di farla finita?

Se incontriamo per strada un tizio che sta per buttarsi nel fiume, che facciamo: lo spingiamo o lo tratteniamo cercando di farlo ragionare? Voglio sperare che l’istinto naturale di tutti noi sia quello di salvarlo. Un attimo di debolezza o disperazione può capitare a tutti, ma se in quel frangente c’è qualcuno che ti aiuta a superarlo, magari ti salvi. Del resto, il numero dei suicidi è indice dell’infelicità, non della “libertà” di un Paese. E, quando i suicidi sono troppi, il compito della politica e della cultura è di interrogarsi sulle cause e di trovare i rimedi. Che senso ha allora esaltare il diritto al suicidio ed escogitare norme che lo facilitino? Il suicidio passato dal Servizio Sanitario Nazionale: ma siamo diventati tutti matti?

Io “tifo” per la libertà – di Paolo Flores d’Arcais

Se la tua vita non appartiene a te, amico lettore, ne sarà padrone un altro essere umano, finito e fallibile non meno di te. Ti sembra accettabile? Su questa terra infatti si agitano e scontrano solo e sempre volontà umane, una volontà anonima e superiore che si imponga a tutti, oggettivamente o intersoggettivamente, è introvabile. Chi ciancia della volontà di Dio è blasfemo (come può pensare di conoscere ciò che è incommensurabile con la piccolezza umana?). In realtà attribuisce a Dio la propria volontà, lucrando sulla circostanza che nessun Dio potrà querelarlo per diffamazione. Il Dio cattolico di Küng considera lecita l’eutanasia, il Dio altrettanto cattolico di Ratzinger l’equipara all’omicidio. Perché in realtà si tratta dell’opinione di Küng e dell’opinione di Ratzinger, umanissime entrambe e non più autorevoli della tua. Perciò, rispetto alla tua vita, o il padrone sei tu o il padrone è un altro “homo sapiens”, eguale a te in dignità (così Kant, e ogni democrazia anche minima), vescovo, primario ospedaliero, pater familias o altra “autorità” che sia.

Ma poiché siamo tutti eguali, deve anche valere il reciproco: se il padrone della tua vita può essere qualcun altro, tu potrai a tua volta decidere della sua vita contro la sua volontà. Se c’è davvero qualcuno che accetterebbe si faccia avanti. Ma non ce n’è nessuno. Nella realtà esistono solo “homo sapiens” finiti, fallibili e peccatori come te e come me, amico lettore, che pretendono di imporre alle altrui vite la loro personale volontà, ma mai accetterebbero di essere soggetti ad analoga mostruosa prevaricazione.

Perciò, senza perifrasi: il suicidio assistito è un diritto? Sì. Fa tutt’uno col diritto alla vita e alla libertà, inscindibili. La “Vita” che qualcuno vuole “sacra” è infatti la vita umana, non il “bios” in generale (ogni volta che prendiamo un antibiotico, come dice la parola, facciamo strage di “vita”), e la vita umana è tale perché singolare e irripetibile, cioè assolutamente MIA. Se non più mia, ma a disposizione di volontà altrui, è già degradata a cosa: “Instrumentum vocale”, dicevano giustamente gli antichi.

Per Lucio Magri la vita era ormai solo tortura. Per Mario Monicelli la vita era ormai solo tortura. Per porvi fine, Lucio Magri ha dovuto andare in esilio e Mario Monicelli gettarsi dal quinto piano. La legge italiana vieta infatti una fine che non aggiunga dolore al dolore già insopportabile: su chi ti aiuta incombe una condanna fino a 12 anni di carcere. E per “assistenza” al suicidio si intende anche quella semplicemente morale! Due casi raccapriccianti di anni recenti: un coniuge accompagna l’altro nell’ultimo viaggio (solo questo: la vicinanza) e deve patteggiare una pena di oltre due anni, altrimenti la sentenza sarebbe stata assai più pesante. Una signora di 54 anni, affetta da paralisi progressiva, decide di andare da sola in Svizzera, proprio per non coinvolgere la figlia. Che tuttavia le prenota il taxi per disabili che la porterà oltre frontiera. È bastato per l’incriminazione: ha dovuto patteggiare un anno e mezzo di carcere.

Ma quando si vuole porre fine alla tortura che ormai ha saturato la propria esistenza, si ha sempre bisogno di assistenza: il pentobarbital sodium non si trova dal droghiere, solo un medico lo può procurare. L’alternativa è appunto l’esilio o lo strazio estremo dell’angoscia aggiuntiva: gettarsi sotto un treno o nel vuoto o nella morte per acqua. Le anime “virili” che si sono concessi perfino l’ironia (“se uno vuol farla finita ha mille modi, senza piagnistei di ‘aiuto’”: i blog ne sono pieni), hanno davvero oltrepassato la soglia del vomitevole.

Altre obiezioni grondano comunque ipocrisia o illogicità. “Se vedi uno che si sta impiccando che fai, rispetti la sua libertà o intanto lo salvi?”. Ovvio che lo salvo, poiché potrebbe essere un momento di sconforto. Ma i casi di cui parliamo sono sempre e solo riferiti a scelte lungamente maturate, ponderate, ribadite. Lucidamente e incrollabilmente definitive (a maggior ragione se chi vuole morire subito è un malato terminale comunque condannato a morte). Da rispettare, dunque, se a una persona si vuole bene davvero: anche se la fine della sua tortura ci procura il dolore della sua assenza per sempre.

Altrettanto pretestuosa l’accusa che il medico verrebbe costretto a praticare l’eutanasia a chiunque la chieda. Nessuno ha mai avanzato questa richiesta, ma solo il diritto – per il medico che questo aiuto vuole dare – di non rischiare il carcere come un criminale. Spiace perciò particolarmente che Ignazio Marino, clinico e cittadino dai molti meriti, abbia dichiarato: “Non dividiamoci tra ‘pro vita’ e ‘pro morte’, il tifo da stadio non è giustificabile di fronte alla fragilità umana”.

A parte la scurrilità del “tifo da stadio”: essere “pro choice” non è essere “pro morte” ma per la libertà di ciascuno di decidere liberamente, mentre troppi “pro vita” sono semplicemente “pro tortura”, poiché pretendono di imporla a chi invece la vive come peggiore della morte. Tu hai tutto il diritto di dire che mai e poi mai ricorrerai al suicidio assistito, che la sola idea ti fa orrore. Ma che diritto hai di imporre questo rifiuto a me, cui fa più orrore la tortura, visto che siamo cittadini eguali in dignità e libertà?

Il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2011








giovedì 1 dicembre 2011

Ministro Balduzzi, lo dica lei: usate il profilattico

In Rai censurano pure le parole.
Come ha rivelato Il Fatto, proprio nella giornata contro l’Aids giravano direttive di Viale Mazzini per evitare che si pronunciasse la parola profilattico.

Come parlare di calcio senza poter dire pallone. La portavoce del ministro Balduzzi ha oggi smentito che la censura sia venuta dal Ministero della salute. Benissimo, ma ci aspettiamo di più. Ministro Balduzzi, lo dica lei: “Il profilattico è la migliore prevenzione contro l’Aids. Usatelo!”. A quel punto la Rai non potrebbe certo censurarla. Cosa altro dovrebbe dire chi, per funzione istituzionale, ha a cuore la salute dei cittadini? E pazienza che in Vaticano non siano d’accordo.

Quanto alla Rai, non sorprende che si arrivi sino al ridicolo da parte di un’azienda che da anni censura ogni dibattito che riguardi, insieme all’Aids, la libertà sessuale e le discriminazioni di genere. Non ricordo, infatti, che sulle reti della Concessionaria pubblica ci siano stati approfondimenti e servizi su coppie di fatto (ovvero un milione di famiglie, e fra queste tante unione omosessuali con e senza figli, che sono ancora senza riconoscimento giuridico), sessualità, prostituzione (fenomeno mai discusso se non in chiave moralistica o di ordine pubblico).

Proprio per questo, nell’ambito della campagna “InformeRai” rivolta a reclamare il diritto all’informazione sui temi cancellati dall’agenda televisiva, abbiamo predisposto una denuncia che ogni cittadino può inviare all’Agcom affinché ordini alla Rai di fare servizio pubblico anche su questi temi. Qui trovate la denuncia, basta un clic.

In attesa che il ministro Balduzzi esterni il suo parere, la migliore risposta a chi vuole una RaiVaticana è denunciarli rivendicando il diritto a poter dibattere delle questioni che riguardano la nostra vita.

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giovedì 24 novembre 2011

L’inganno delle guerre umanitarie

pubblicata da Per un Neoilluminismo Globale
21 novembre 2011
http://www.juragentium.unifi.it/about/index.htmA differenza degli animali, l’homo sapiens fa strage continua dei suoi simili e mostra di non saperlo o di non volerlo sapere. Egli sembra ignorare, per esempio, che fra l’inizio dell’Ottocento e la prima metà del Novecento oltre 150 milioni di uomini e di donne sono morti in guerre e in altri feroci conflitti, in gran parte nell’area europea.
E le stragi sono continuate e continuano tuttora nonostante la garanzia formale del diritto e delle istituzioni internazionali.
Dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, appena spenti i bagliori delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Carta delle Nazioni Unite aveva definito la guerra come un «flagello» (scourge) che la comunità internazionale era impegnata a cancellare per sempre dalla storia umana.
La realtà è stata molto diversa. Basti pensare alle guerre che non a torto sono state definite «globali»: la guerra del Golfo del 1991, le guerre balcaniche degli anni Novanta, l’aggressione all’Afghanistan tuttora in corso per volontà dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, l’aggressione all’Iraq del 2003, gli attuali bombardamenti della Nato contro la Libia di Muammar Gheddafi, anch’essi voluti dagli Stati Uniti.
E non andrebbe dimenticata la tragedia del popolo palestinese.



Sono migliaia le vittime innocenti delle guerre che le potenze occidentali hanno deciso inviando in Medio-Oriente centinaia di miglia di militari – oltre 500mila soldati statunitensi solo per la guerra del Golfo del 1991 – e ricorrendo all’uso di armi sempre più raffinate e letali come, fra le altre, le cluster bombs, le bombe «taglia-margherite» (daisy-cutter), il drone Predator, fornito dei micidiali missili Hellfire.
Ma gli Stati Uniti si servono anche del napalm, del fosforo bianco e dell’uranio impoverito per colpire dall’alto i militari e la popolazione civile, come è accaduto tragicamente a Fallujah.
Le conseguenze umane e sociali della guerra si prolungano ben oltre il conflitto armato, in termini di mutilazioni permanenti, di scomposizione della vita familiare, di miseria, corruzione, violenza, odio, inquinamento ambientale. E i costi delle guerre sono immensi: milioni di milioni di dollari investiti solo per la guerra del Golfo.

La produzione e il traffico delle armi da guerra è fuori dal controllo della cosiddetta «comunità internazionale». E l’uso delle armi dipende dalla «decisione di uccidere» di attori statali e non statali che decidono secondo le proprie convenienze.
Nonostante il generoso attivismo dei fautori dei diritti umani, sentenze di morte collettiva vengono emesse, al di fuori di qualsiasi procedura legale, contro migliaia di persone non responsabili di alcun illecito. La morte fa parte di una cerimonia che non sembra suscitare alcuna emozione.
Le giustificazioni umanitarie delle «guerre globali»

Se si adotta un approccio minimamente realistico, le motivazioni effettive delle «guerre globali» dell’ultimo ventennio possono essere agevolmente individuate. Accanto a interessi elementari come l’approvvigionamento delle materie prime, la sicurezza dei traffici marittimi e aerei, la stabilità dei mercati, in particolare di quelli finanziari, emergono in primo piano le fonti energetiche delle quali il Medio-Oriente è ricchissimo: il petrolio e il gas naturale, anzitutto.
E se si pensa alle guerre scatenate dagli Stati Uniti, non si può che riferirle a un progetto di occupazione neoimperialistica del Mediterraneo orientale, del Medio-Oriente e dell’Asia centrale secondo la logica del Broader Middle East.

Una limpida conferma degli obiettivi reali delle «guerre globali» viene dalle motivazioni formalmente avanzate dalle potenze occidentali.
Si tratta di motivazioni infondate e, spesso, del tutto illegali, come provano le dichiarazioni con le quali la Nato – di fatto gli Stati Uniti – ha giustificato la guerra del 1999 per la conquista del Kosovo.
E si è trattato di una guerra finalizzata a risolvere una guerra civile all’interno di uno Stato. E questo tipo di intervento è notoriamente escluso dalla Carta delle Nazioni Unite.
E altrettanto può dirsi della guerra contro la Libia che gli Stati Uniti hanno deciso nei primi mesi dell’anno in corso, in collaborazione con la Francia, l’Inghilterra e l’Italia. Si è trattato di una aggressione in perfetta sintonia con la guerra per il Kosovo, con le medesime motivazioni, con gli stessi obiettivi «umanitari», con la stessa Nato, sempre pronta a bombardare senza limiti paesi e città.

Per quanto riguarda la guerra per il Kosovo c’è da dire che la formula humanitarian intervention, con cui è stata identificata dal Presidente Bill Clinton, esprime in realtà una volontà aggressiva e opportunistica, al di fuori di ogni rispetto del diritto internazionale e delle funzioni delle Nazioni Unite. La Nato ha fatto da copertura a una operazione di estremo interesse per gli Stati Uniti, che non a caso dall’alto del cielo hanno bombardato per 78 giorni la Serbia e il Montenegro, facendo strage di migliaia di persone innocenti.
Un intervento armato per «ragioni umanitarie» ha comportato oltre diecimila missioni d’attacco da parte di circa mille aerei e l’uso di oltre 23mila ordigni esplosivi, fra missili, bombe e proiettili all’uranio impoverito.
Il risultato è ben noto: gli Stati Uniti hanno costruito nel cuore del Kosovo l’imponente base militare di Camp Bondsteel, che oggi ospita circa 7.000 soldati ed è quasi certamente dotata di armi nucleari.
La guerra che gli Stati Uniti, assieme ai loro alleati europei, hanno scatenato contro la Libia è la prova della loro volontà di porre sotto il proprio controllo l’intera area mediterranea oltre che il Medio-Oriente e il Sud-Est asiatico. Gli Stati Uniti cercano di nascondere la loro vocazione neocoloniale e neoimperiale sotto il mantello dell’ennesima humanitarian intervention.
È sufficiente una rapida lettura della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza del 17 marzo 2011, con la quale si è deciso il No-Fly Zone contro la Libia, per cogliervi una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite.
La violazione della Carta è evidente se si tiene presente che il comma 7 dell’art.
2 stabilisce che «nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato». È dunque indiscutibile che la «guerra civile» di competenza interna alla Libia non era un evento di cui poteva occuparsi il Consiglio di Sicurezza.

Nulla è cambiato nella strategia egemonica degli Stati Uniti e questo avrà rilevanti conseguenze nei confronti del popolo libico che si finge di voler salvare dalle violenze di un dittatore.
È facile prevedere che a guerra conclusa gli Stati Uniti e i loro alleati eserciteranno il loro potere per garantirsi il controllo della Libia e sfruttarne le ricchissime risorse.



Conclusione:
L’ideologia occidentale della humanitarian intervention coincide con una strategia generale di promozione degli «interessi vitali» dei paesi occidentali.
Un progetto di pacificazione del mondo richiederebbe una severa riflessione autocritica sulle radici dell’orrore che l’Occidente si è rivelato capace di produrre in un recente passato – dalle guerre coloniali ai Lager nazisti e l’Olocausto, a Hiroshima e Nagasaki – e si mostrano ancora oggi capaci di produrre.
E occorrerebbe una cultura politica euroamericana orientata a un dialogo paritetico con le altre civiltà, a cominciare dal mondo arabo-islamico, in modo da fare del Mediterraneo un crocevia della pace.
Danilo Zolo su alfabeta2.